In questa situazione surreale iniziata ormai mesi fa, ognuno guarda a quello che sarà dal suo punto di vista. Ma c’è, senza dubbio, un aspetto che cambierà profondamente la vita di chiunque, che sia operaio, imprenditore o studente: quello della socialità.
Questo è un blog sul cibo, nato dalla forte passione per la cucina e per il viaggio come scoperta gastronomica. Ci preme, perciò, guardare a tutto questo da un punto di vista finora non discusso, né preso in considerazione: quello dell’avventore, del cliente di bar e ristoranti.
È indubbio che poggiarsi al bancone di un bar o sedersi a tavola, per noi italiani, non è solo soddisfare gli stimoli della fame e della sete: per noi stare a tavola è un vero e proprio rituale sociale. Fare due sane chiacchiere con gli amici (magari sul cibo), stare in compagnia, scaricare per qualche ora lo stress della vita quotidiana, sono tutte parti essenziali di questo rituale.
Questo nuovo virus sembra negare, senza diritto di replica, ogni sorta di socialità come l’abbiamo finora vissuta. Che fare allora? Come tornare a goderci un pranzo, una cena, un caffè con gli amici?
Per noi italiani, popolo cresciuto con le “quattro chiacchiere in piazzetta”, tutto ciò sembra un incubo impossibile da gestire. Certo è che nei prossimi mesi bisognerà provare a controllarlo, questo incubo, senza poterci ancora svegliare.
Dice bene Valerio Di Mattia, presidente dell’Associazione ARiA, che tocca proprio questo punto nel suo ultimo comunicato stampa: «per anni abbiamo investito sui valori dello chef, sulla tecnologia in cucina, sul rinnovamento della proposta gastronomica, forse tralasciando l’aspetto veramente trainante delle nostre attività, ovvero “il servizio alla socialità e alla condivisione delle esperienze“».
Socialità, esperienza, ecco le parole che per noi assidui frequentatori di ristoranti sono sempre state importanti. Il punto d’incontro tra ristoratore ed avventore sembra essere stato finalmente raggiunto. È da qui che bisogna iniziare un dialogo sincero e propositivo tra veri amanti del cibo: chi lo prepara e chi lo mangia.
A noi clienti viene chiesto quello che, qualche mese fa, non rappresentava nemmeno una sfida: riprendere a frequentare i nostri locali preferiti, superando l’ansia e la diffidenza verso l’altro che questi mesi di lockdown hanno fatto sorgere; mantenere quel rapporto di fiducia (che spesso diventa amicizia) che abbiamo creato negli anni con i nostri ristoratori preferiti; rivedere le nostre abitudini, modificando quello che finora è stato il nostro abituale comfort.
A voi ristoratori, dal canto vostro, viene chiesto un altrettanto grande sforzo, organizzativo e d’immaginazione, per permetterci di godere dei vostri piatti senza rinunciare al piacere del tempo passato nei vostri locali.
C’è chi ha iniziato a porre le basi per questo dialogo schietto tra le parti, che desidera partire da un punto di vista propositivo per iniziare a fare riflessioni realmente utili alla gestione di questa ristorazione 2.0.
Dice ancora Valerio Di Mattia: «La nuova consapevolezza […] ci spingerà a […] investire ancora di più nel miglioramento del comfort e dell’ospitalità, interpretando questa esigenza in maniera vantaggiosa. Bisogna far capire che in futuro i ristoranti saranno in grado di offrire servizi ancora migliori attraverso un riequilibrio delle prospettive e dell’organizzazione interna; questa condizione condurrà certamente ad un aumento complessivo della qualità della proposta».
La discussione è iniziata; una discussione che non può trascendere dal punto di vista di noi avventori; e crediamo di parlare a nome di tutti, quando diciamo che siamo ben felici di partecipare.